Utente:Barbaking/Latinorum

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«“Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?”»

Ecce Socraten contubernalem meum conspicio. Humi sedebat scissili palliastro semiamictus, paene alius lurore ad miseram maciem deformatus, qualia solent fortunae decermina stipes in triviis erogare. Hunc talem, quamquam necessarium et summe cognitum, tamen dubia mente propius accessi. "Hem," inquam "mi Socrates, quid istud? Quae facies? Quod flagitium? At vero domi tuae iam defletus et conclamatus es, liberis tuis tutores iuridici provincialis decreto dati, uxor persolutis feralibus officiis luctu et maerore diuturno deformata, diffletis paene ad extremam captivitatem oculis suis, domus infortunium novarum nuptiarum gaudiis a suis sibi parentibus hilarare compellitur. At tu hic larvale simulacrum cum summo dedecore nostro viseris." "Aristomene", inquit "ne tu fortunarum lubricas ambages et instabiles incursiones et reciprocas vicissitudines ignoras", et cum dicto sutili centunculo faciem suam iam dudum punicantem prae pudore obtexit ita ut ab umbilico pube tenus cetera corporis renudaret. Nec denique perpessus ego tam miserum aerumnae spectaculum iniecta manu ut adsurgat enitor.

spoiler: alla fine Socrate muore male

Ed ecco che scorgo Socrate, il mio commilitone. Sedeva per terra, semicoperto da un mantelletto aperto, per il pallore [sembrava] quasi un altro, deformato fino a una misera magrezza, come qui relitti della sorte che sono soliti chiedere l'elemosina agli incroci. Era [d'aspetto] tale che, per quanto a me caro e perfettamente conosciuto, mi avvicinai con la mente dubbiosa. "Hem" dissi "Socrate mio, che succede? che faccia hai? che follia è? In verità a casa tua sei già stato pianto e strapianto [per morto], ai tuoi figli sono stati affidati dei tutori per decreto del giudice provinciale, tua moglie, svolti i riti funebri, deformata dal lutto e dall'incessante dolore, logorati di pianto i suoi occhi fin quasi alla cecità completa, è stata costretta dai suoi stessi parenti a rallegrare la sventura della famiglia con la gioia di nuove nozze. E invece tu [sei] qui [e] sembri una parvenza spettrale, con nostra somma vergogna. "Aristomene" dice "non disconoscere le scivolose tortuosità della fortuna, e le sue instabili incursioni e alterne vicissitudini", e detto ciò con [quel]lo straccio rattoppato si copre per pudore la faccia già arrossita, tanto da denudarsi il resto del corpo dall'ombelico al pube. Non potendo sopportare oltre un così triste spettacolo di sofferenza mi sforzo con la mano tesa perché si rialzi.

Passer, deliciae meae puellae, 1
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare morsus,
cum desiderio meo nitenti 5
carum nescio quid lubet iocari
et solaciolum sui doloris,
credo ut tum gravis adquiescat ardor:
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristis animi levare curas! 10

non dovresti veramente, veramente leggere qui
passero, gioia della mia ragazza[1] 1
col quale giocare, che tenere in grembo,
a cui, affamato, porgere l’indice
ed incitarne i morsi aguzzi è solita
quando al mio splendido amore 5
piace, non so perché, che il suo tesorino si diverta
e sia piccolo sollievo al suo dolore
forse per placare l’eccessivo fuoco:
potessi anch’io giocare così con te
e allontanare le pene del mio triste animo! 10
  1. this is the hill I’m ready to die on

Paene insularum, Sirmio, insularumque 1
ocelle, quascumque in liquentibus stagnis
marique vasto fert uterque Neptunus,
quam te libenter quamque laetus inviso,
vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynos 5
liquisse campos et videre te in tuto!
o quid solutis est beatius curis,
cum mens onus reponit, ac peregrino
labore fessi venimus larem ad nostrum
desideratoque acquiescimus lecto? 10
hoc est quod unum est pro laboribus tantis.
salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude;
gaudete, vosque, o Lydiae lacus undae;
ridete, quidquid est domi cachinnorum. 14

Oooooh, home again, I like to be here when I caaaaaaan...
Sirmione, gemma delle isole e penisole
tutte quelle che nei limpidi laghi e
nel mare vasto ciascun Nettuno sparge,
quanto felicemente e lieto ti vedo,
a stento credo di aver lasciato la Tinia
e i campi Bitini, e di [poterti] vedere, al sicuro!
cosa c’è di più lieto delle incombenze svolte,
quando la nente ripone il suo carico, e noi per la lontana
fatica stanchi giungiamo al nostro lare,
e riposiamo sull’agognato letto?
questo è ciò che solo si ha in cambio di tante fatiche
salve, bella Sirmione, e gioisci col tuo padrone,
gioite, voi, onde del lago di Lidia,
ridete, [con] quante risate abbiate!

Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris 1
Italiam, fato profugus, Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superum saevae memorem Iunonis ob iram;
multa quoque et bello passus, dum conderet urbem, 5
inferretque deos Latio, genus unde Latinum,
Albanique patres, atque altae moenia Romae.

Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,
quidve dolens, regina deum tot volvere casus
insignem pietate virum, tot adire labores 10
impulerit. Tantaene animis caelestibus irae?

DEL PELIDE ACHIL- ah, no
canto le armi, e l'uomo, che per primo dalle coste di Troia
giunse in Italia, spinto dal fato, e sulle Lavinie
spiagge,